Sei trame asemiche

Per indagare il lascito artistico e critico del manipolo di artiste combattenti che in Italia hanno iniziato a tracciare scritture illeggibili – attività che ha silenziosamente conquistato spazi in pubblicazioni e gallerie, attivando nel web uno scambio internazionale – sono state intervistate sei artiste italiane di generazioni più recenti, interpreti qualificate di sperimentazioni asemiche: Francesca Biasetton, Laura Cingolani, Mariangela Guatteri, Floriana Rigo, Tommasina Bianca Squadrito e Martina Stella.

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Michele Mari, platonismo e leggenda

In un’opera come quella di Mari dove tutto, o quasi, è precipitato di vissuto biografico fantasticamente rielaborato, ricodificazione in termini linguistici di emozioni profonde, ciò che è caduto sotto il «suo proprio (privato privatissimo personale) possesso», per citare l’amato Gadda, vale a dire il ricco giacimento di oggetti d’affezione che fu «il fiore della [sua] infanzia», riveste un ruolo decisivo.

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Susan Sontag, da voyeurs a complici

Guardando l’immagine del corpo imbalsamato, la deposizione di Susan Sontag, non pensiamo alla storia della malattia del corpo o al doloroso passaggio tra vita e morte, né Sontag era specificatamente interessata a raccontarlo in soggettiva; noi memorizziamo l’immagine definitiva della malattia e della morte. Qualcosa alla terza persona.

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Alberto Savinio, come cose pensate

Qualche giorno fa, riaperta finalmente la mostra a Palazzo Altemps, con un senso di liberazione tanto ovvia quanto esilarante mi perdo nel labirinto dei rinvii e degli echi, fra Galati Morenti e troni Ludovisi. All’improvviso spunta una signora sognante e deliziata, stupefatta sin quasi all’indignazione: «ma davvero aveva un fratello pittore, de Chirico? Voglio dire, quello che stava a Piazza di Spagna? Ed era uno che scriveva, anche?» «Sì signora, Andrea de Chirico in arte Alberto Savinio.»

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Anne Carson, economia del rosso

Del lutto si dà innanzitutto un’economia ‘privata’. È un fatto di economia lasciar andare i morti: «noi non li accompagniamo». È economia trattenerli qui, nominandoli. Spese, risparmi: lasciar andare, trattenere. Da questi due moti viene la scrittura funebre, la grafia degli epitaffi. Che però dice anche un residuo oltre quel moto di azioni uguali e contrarie: l’imperduto ('the unlost').

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Vendo palle di neve

Basta scorrere le numerose fotografie a colori e in bianco e nero che ci restano per comprendere d’acchito di cosa si tratta. Immagini così sobrie e potenti che ogni parola, ogni tentativo di ricamarci sopra, di fare ermeneutica sembrano superflui se non fuori luogo. Cosa mostrano le foto? Un uomo che vende palle di neve.

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Là fuori

Come sarebbe chiaro il mondo senza immagini, / fatto solo di suono e silenzio / a disegnare il profilo delle cose e dei volti, / come la luce che propagandosi ovunque / dà forma alla materia. / Una grande tela bianca il mondo / e sopra l’ombra proiettata dei nostri corpi, / figure cariche di tempo, sfigurate / in perenne lotta con il fondo che le trattiene.

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Bataille, Leiris e il «segreto»

È verso la fine del 1924 che Georges Bataille entra per la prima volta in contatto con Michel Leiris. A fare da tramite è Jacques Lavaud, come lui bibliotecario alla Bibliothèque nationale di Parigi. Fattore aggregante nel sodalizio che subito si instaura tra i due è il progetto di dar vita assieme a Lavaud, in un bordello nei pressi della porta Saint-Denis, al movimento "Oui", antitetico alla «negazione sistematicamente provocatoria» del dadaismo. Ma a connotare questo sodalizio è, più che la comunanza di una posizione univoca, l’alternanza di fulminee tangenze e di laceranti rotture.

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Tradurre, Mandel’štam

C’è qualcosa in Osip Mandel’štam che ha a che fare con la memoria che ci raggiunge mediante il suo sguardo. Ho la sensazione che non ci siano arrivate solo le parole del suo lavoro, ma che ci abbia trasmesso anche i suoi sguardi sulle cose. Quando mi sono imbattuto nella sua frase «l’occhio è lo strumento del pensiero», era esattamente quello che amavo sentirmi dire.

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Daniel Arasse, l’inesauribile davanti agli occhi

Come ogni pensiero capace di svincolarsi dai parametri della conoscenza, la riflessione di Arasse invita ad un domandare che sconfina da qualsiasi specialismo disciplinare. Che cosa resta del mondo, di noi, quando si perde la visione di ciò che si vede? L’inquietudine che si fa strada nel venire a meno della visione è l’immagine di un’umanità infertile e insofferente, incapace di lasciar(si) entrare, indifferente alla gemmazione, che rifiuta di dar spazio alla meravigliosa, ora fastidiosa, dismisura dell’inesauribile.

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Stromboli, terra di sguardi

Le fotografie di Patellani si muovono su un orizzonte parallelo a quello di Rossellini: non tanto per la prospettiva etica o morale che guida lo sguardo della macchina da presa per l’uno e della macchina fotografica per l’altro, quanto per l’adesione alla materialità della terra su cui si trovano e per la tensione verso il cinema di queste fotografie.

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Piccola Collezione Portatile

Perché transeunte è detto quello che passa: trascorre: transita. Quello che va, quello non ha luogo ma transita dall’un luogo all’altro incessantemente — infallantemente transito è il suo luogo. Le tracce pattumate fra l’uno e l’altro transito s’imprimono sulle retine; così assuefano di loro tossine insublimate le tracce. Transita ciò che si consuma ma consumatosi deposita una traccia. Traccia d’una traccia.

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Dopo tutto, chi sono i fratelli?

I fratelli – e le sorelle – sono prima di tutto soggetti autonomi la cui coesistenza non si fonda in nient’altro che in una compagnia di cibo (com-pagnia significa: chi condivide il pane) e in un’assenza di ragione nella loro comunità di esistenza.

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Binga fa novanta

Tomaso Binga compie domani 90 anni e per l’occasione ha pensato di festeggiare con noi tutti questo suo nuovo traguardo, proponendo, nonostante i tempi difficili e le ristrettezze del momento, un gioco collettivo e connettivo che nasce da alcune sue riflessioni legate al 'Biographic', un ciclo avviato nel 1985 e che oggi, con la conclusione dell’opera 'Locus', si chiude per aprire nuove avventure.

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Jacques Perconte per Boomer

Vorrei parlare dei lavori di Jacques Perconte, un artista che apprezzo, ma non ho sufficienti nozioni informatiche per farlo. Così, per cercare di raccapezzarmi, ho provato a considerare alcuni di quelli che mi sembrano suoi gesti abituali, operazioni che hanno il fine di modificare le immagini che ha filmato, trasferendole, traducendole, visualizzandole grazie all’apporto della filologia. Dunque, un artista che lavora sulla compressione delle immagini avrebbe qualcosa a che fare con la filologia? Forse.

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La pittura ha vinto

Forse il merito maggiore di questa raccolta di scritti di Castellani è di offrirci un ritratto più complesso e sfaccettato di quello che la bibliografia già nota sull’artista ci ha consegnato sino ad oggi, facendoci accedere per la prima volta alla sua sfera più intima. È qui che scopriamo il suo amore per la scrittura, coltivata in segreto, come esercizio privato ma condotto con la stessa dedizione e disciplina cui ci ha abituati per le sue opere.

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I travestimenti di Claude Cahun, Marcel Duchamp ed Henri de Toulouse-Lautrec

Sia Toulouse-Lautrec sia Duchamp utilizzano la fotografia in modo paradossale, ovvero cercano, attraverso il medium che dovrebbe fissare l’identità della persona ritratta e la prova tangibile della sua esistenza, di depistare le tracce dell’identità singola, rendendo visibile l’ambivalenza tra ricerca identitaria e artistica, tra cultura d'élite e cultura di massa, tra mascolinità e femminilità.

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L’immagine e il suo fuori campo

È fuor di dubbio che la tipologia di immagini prodotte dai droni – e più in esteso, le immagini nonhuman – facciano parte sempre di più della realtà che viviamo ma è oltremodo importante interrogarci sugli effetti che queste immagini hanno e avranno sulle nostre vite: cosa succede quando l’immaginario viene nutrito, costruito, bombardato e colonizzato da queste tipologie di immagini? Cosa succede se l’iconosfera viene nutrita sempre più da sguardi disincarnati? Quale nuovo punto di vista avremo sul mondo?

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Gordon Matta-Clark, Apocalisse in Barocco

«Il barocco è qualche cosa che è saltato in aria, che s’è sbriciolato in mille briciole: è una cosa nuova, rifatta con quelle briciole, che ritrova integrità, il vero». Ho pensato a queste parole folgoranti di Giuseppe Ungaretti (verso la fine degli anni Sessanta dettate a commento della sua raccolta “barocca” anni Venti, "Sentimento del Tempo"), guardando lo splendido video che documenta una delle più stupefacenti opere di Gordon Matta-Clark, "Office-Baroque".

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